Solito sabato mattina
noiosissimo.
Mi svegliai alle 6:37 di
mattina, feci una doccia super veloce, indossai la tuta e le scarpe da
ginnastica e mi misi in cammino. Mentre scendevo le scale presi un laccio per
capelli e feci un piccolo codino. Terminai le infinite scale e uscii dal
portone: l’aria fredda di novembre mi fece tremare.
La solita casa davanti a
me, con quell’aura cupa, diroccata, con quelle piante malcurate. La guardai per
un po’ e poi cominciai la mia corsa mattutina. Tornai all’incirca verso le
11:30, mia madre e mio fratello stavano facendo colazione e così mi unii a
loro. Dopo la colazione uscirono entrambi e rimasi sola, il cielo si faceva
sempre più scuro. Il cigolio di una finestra mi fece sobbalzare, mi girai di
scatto, la finestra dietro di me era completamente spalancata, mi avvicinai e
piano mi misi ad osservare fuori: la casa abbandonata venne colpita in pieno da
un fulmine e per qualche minuto scomparve. Non ci credevo, non c’era più nulla.
Presi il giubbotto e mi fiondai giù per le scale. Uscita dal portone un
acquazzone mi prese in pieno e misi il cappuccio. La casa davanti a me era
quasi un diagramma nascosto fra la nebbia che circondava solo lei, mi avvicinai
piano al cancello, nero, basso, con qualche graffito in bianco, allungai la
mano per toccarlo ma la scansai subito dopo, sentii una fitta, come una presa
potente. Mi allontanai indietreggiando e guardai la casa in ogni minimo
dettaglio: una struttura media, materiali ormai rovinati dal tempo, molte
finestre, probabilmente molte stanza, il giardino, se così si poteva chiamare,
era quasi un giungla, piante ovunque, sia a terra che rampicanti, e poi c’era
un piccolo terrazzo quasi distrutto, le mura malandate. Una mano forte mi
afferrò al collo e mi spinse verso il cancello che si aprì da solo. Mi
catapultai in un’altra dimensione, poi
il cancello si chiuse dietro di me. Il giardino, prima completamente distrutto,
era diventato bellissimo, i fiori sbocciati emanavano un profumo paradisiaco,
la casa era stupenda, le mura di un arancione intenso, le finestre di legno di
ciliegio levigato. Una dolce musica che proveniva dall’interno mi portò ad
avvicinarmi alla porta. Subito una piccola vecchina mi aprì esortandomi ad
entrare. Mi fece togliere la giacca e mi fece accomodare sul morbido divano
dandomi il benvenuto. Mi portò dei pasticcini
e un tè caldo, si sedette davanti a me e iniziò il suo lungo discorso:
“Questa casa non esiste cara Marina, tu, sei la prescelta. Non ti devi
spaventare, non devi fare nulla, questa è la casa dei sogni, ogni stanza di
questa casa è un tuo sogno che puoi vivere. A te la scelta, ogni giorno potrai
vivere un tuo sogno, ma non fare il mio sbaglio” mi disse e poi di colpo il suo
sguardo si rabbuiò “Io sono entrata qui all’età di vent’anni, ho lasciato la
mia famiglia, il mio uomo, ho preferito vivere un sogno… Tu non lo fare, la
mancanza di una persona porta incubi e qui si vivono anche quelli. Tu sei
giovane, i tuoi sogni puoi viverli col sorriso, ma se arrivi a vivere il terzo
incubo dovrai restare qui per sempre: pensaci!”. Chiuse il discorso
sorridendomi malinconica. Io finii di bere il tè e mi alzai dal divano, presi
la giacca e mi feci accompagnare alla porta. La vecchina mi abbracciò: “A
presto piccola prescelta”. Il portone si chiuse alle mie spalle e un vento
fortissimo mi portò fuori dal cancello. Tutto era tornato come prima, o forse
no. La mattina dopo uscendo di casa presi la mia decisione, la decisione che mi
cambiò la vita.
Marina
Guzzi
Classe seconda B
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