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mercoledì 24 gennaio 2018

Uccidere per amore


Una mattina di gennaio,un uomo sui 70 anni circa si presentò alla polizia gridando :“quell’uomo lo ha ucciso!Lui è un assassino!”
L’agente,che aveva solamente 22 anni, non sapeva cosa fare dato che era solo qualche settimana che lavorava lì. Decise di chiamare il suo capo al cellulare e di avvertirlo che l’uomo non smetteva di ripetere la stessa frase,il capo gli rispose di non agitarsi troppo e di cercare di capire cosa gli fosse successo mentre stava arrivando.
Quando il principale arrivò in ufficio vide che l’uomo ancora gridava e il ragazzo gli ripeteva di non gridare altrimenti avrebbe spaventato i passanti. Il principale urlò contro l’uomo dicendo: “siediti e dimmi cosa hai visto o sentito e noi potremo aiutarti altrimenti se non ti calmi non riusciremo a capire nulla di quello che dici!”.
L’uomo si sedette e chiese gentilmente un bicchiere d’acqua. Finito di bere il giovane agente gli disse: “ora per favore può raccontarci l’accaduto!”. L’uomo annuì e iniziò a parlare:
“E’ iniziato tutto ieri sera verso le 22:30,io ero seduto sul mio scomodo divano e guardavo fuori dalla finestra,quando ad un certo punto ho visto una figura che si avvicina alla casa di fronte alla mia così ho deciso di uscire a controllare. Appena sono uscito di casa ho visto la figura prendere un piccone dall’auto e avvicinarsi alla porta di casa,la figura ha aperto la porta con il piccone e poi è entrato in casa,all’inizio pensavo fosse il proprietario di casa che aveva perso le chiavi,ma poi mi sono chiesto perché un uomo normale dovrebbe tenere un piccone nell’auto?!. Così mi sono avvicinato alla casa e ho notato che più mi avvicinavo e più sentivo urlare la frase  vai via dalla mia casa! Dopo circa un minuto ho sentito dire  cosa fai?! Non mi toccare!! e poi un urlo,nient’altro che un urlo. Dopo di che il silenzio totale”. Ero molto spaventato,però,magari avevo frainteso. Ma poi durante la notte ho sentito dei rumori,quindi mi sono affacciato dalla finestra della camera e ho visto la figura che usciva di casa. Prima delle 03.20 del mattino si sentiva solo il fruscio dei rami,così aspettai le 09:30 del mattino per venire qui e denunciare la figura oscura”
In quel momento i due agenti si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere,poi il giovane agente guardò l’uomo dicendo: “scusami vecchietto,hai preso qualche medicina sbagliata questa mattina,no perché credo che tu abbia qualche allucinazione!”
L’uomo guardò l’agente di polizia e disse: “il mio nome,tanto per essere chiari,non è vecchietto! Il mio nome è Albert e per essere ancora più chiaro quello che dico è completamente vero,ma se non mi credete per niente andate pure a fare gli affari vostri,andrò a chiamare un detective privato”.
 Dopo di che Albert cominciò a chiedere a tutte le persone che passavano se conoscessero un investigatore privato,ma nessuno gli rispondeva, così Albert rientrò nell’ufficio di polizia e chiese alla segretaria se per caso conoscesse un investigatore privato,ma lei rispose con un altra domanda: “cosa ci devi fare con un investigatore privato? Ti serve per scoprire chi era la figura che hai visto?”. Albert annuì con imbarazzo e la segretaria allora disse a bassa voce per non farsi sentire da nessuno :“io penso che quello che dici è vero”.
La ragazza diede ad Albert un biglietto da visita con su scritto –detective Jack Rosbif –poi c’era il numero di telefono del detective. Albert ringraziò la segretaria e corse via.
Appena uscito dall’ufficio chiamò con il suo telefono il numero sul biglietto e a rispondere fu una donna che con voce veloce e squillante disse: “buongiorno io sono Sara la segretaria del detective Rosbif,come posso aiutarla?”
Albert chiese se il detective fosse libero per poterlo ricevere e la ragazza disse: “mi dica quando e vedo se è libero” Albert ci pensò per 2 minuti poi disse: “per oggi pomeriggio è libero?” la segretaria controllò e poi disse:“si è libero ma solo dalle 15:30 alle 16:30”. Poi attaccò al telefono. Albert andò a casa,mangiò un piatto di pasta e uscì di casa verso le 15:00.
Arrivò davanti allo studio e vide alcune persone uscire così approfittandone lui entrò. La segretaria lo bloccò subito e le disse: “lei chi è? Sa che questo studio è privato? E sa che oggi siamo occupati tutto il giorno?” Albert la guardò e disse ridendo:“so che siete occupati,sono io che vi farò sprecare un’ora oggi!” a quel punto la ragazza le fece cenno di entrare e lui entrò.
Con il primo incontro il detective le chiese solo cosa doveva fare e perché lo doveva fare.
Alla fine dell’incontro Albert pagò il detective per il lavoro che doveva svolgere e soddisfatto del lavoro che aveva dato da svolgere al dottor Rosbif uscì dall’ufficio,si avvicinò alla sua auto,entrò e si avviò verso casa. Arrivato a casa vide il detective che stava uscendo dalla casa del presunto omicidio e avvicinarsi a lui dicendo: “mi scusi è questa la casa del presunto omicidio?” Albert annuì e Jack disse: “in quella casa c’è solo una domestica che dice che il suo capo è un architetto e che è partito ieri per un viaggio con la sua ragazza a Londra,ma io non ne sono convinto perché lei parlava come se nascondesse qualcosa,era molto nervosa. Dovrò investigare di più,è più complicato di quanto credessi”
“vuoi arrenderti subito?”chiese Albert sconsolato ,ma il detective gli rispose con un sonoro:“no,non intendo arrendermi subito,voglio arrivare in fondo a questa storia!”
I due si salutarono e Albert entrò in casa,mentre il detective entrò in macchina e si diresse verso lo studio.

lunedì 22 gennaio 2018

Ernest Shackleton: colui che si sacrificò per l’equipaggio




Ernest Shackleton iniziò il suo pazzesco viaggio con un annuncio ben poco invitante nel 1914, su un giornale londinese
Cercasi equipaggio per viaggio pericoloso: paga misera, freddo intenso, lunghi mesi di oscurità totale e ritorno non garantito”
Tra oltre 5000 uomini lui ne scelse 56. La nave era la Endurance. Il suo scopo: attraversare l'Antartide a piedi. Tuttavia non fu il suo primo viaggio, ne fece un altro, sempre  in Antartide ma dovette tornare indietro senza successo.
Nato nel 1874, Shackleton era un uomo che aveva a cuore la  vita del suo  equipaggio più che la sua  stessa vita. Inizialmente faceva parte della Marina Mercantile che abbandonò dopo avere sposato  Emily Dorman  per dedicarsi all’esplorazione.
Queste sono le parole di Shackleton con le quale descrive il suo sogno:
Dopo la conquista del Polo Sud da parte di Amundsen che, per pochi giorni, aveva preceduto la spedizione britannica di Scott, restava una sola grande impresa dell’esplorazione antartica — l’attraversamento del continente bianco da mare a mare.
Dopo che  Shackleton trovò i finanziamenti per  la spedizione,  la Endurance partì il 9 agosto 1914 da Plymouth. Durante il viaggio fecero tappa a Buenos Aires e poi a Grytviken  nella Georgia del Sud, solo che a causa di un problema dovettero aspettare fino al 5 dicembre per poter ripartire.  Si spinsero sempre più a Sud. Quando iniziarono ad incontrare i primi ghiacciai Shackelton sapeva che la nave era in grado di arrivare fino al punto prestabilito.
L’avanzata verso Sud si fece sempre più complicata, a metà gennaio del 1915 spesso lo scafo della nave rimaneva bloccato tra i ghiacci e si doveva solo attendere, la nave poteva raggiungere giornalmente solo una determinata distanza.
Il 19 gennaio 1915 Shackleton si ritrovò bloccato tra i ghiacci e scrisse:
 La nostra posizione al mattino del 19 era lat. 76°34´S., long. 31°30´O. Il tempo era buono, ma era impossibile avanzare. Durante la notte il ghiaccio aveva circondato la nave e dal ponte non era possibile vedere mare libero.
La Endurance era totalmente bloccata tra i ghiacci, ormai era inevitabilmente alla deriva, sarebbero quindi stati costretti a passare le notti successive  sul ghiaccio: solo Shackleton e pochi altri compagni sapevano quel che sarebbe successo di lì a breve.
Datemi Scott a capo di una spedizione scientifica, Amundsen per un raid rapido ed efficace, ma se siete nelle avversità e non intravedete via d’uscita inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Shackleton  
Raymond Priestley

mercoledì 17 gennaio 2018

La casa dei sogni


Solito sabato mattina noiosissimo.
Mi svegliai alle 6:37 di mattina, feci una doccia super veloce, indossai la tuta e le scarpe da ginnastica e mi misi in cammino. Mentre scendevo le scale presi un laccio per capelli e feci un piccolo codino. Terminai le infinite scale e uscii dal portone: l’aria fredda di novembre mi fece tremare.
La solita casa davanti a me, con quell’aura cupa, diroccata, con quelle piante malcurate. La guardai per un po’ e poi cominciai la mia corsa mattutina. Tornai all’incirca verso le 11:30, mia madre e mio fratello stavano facendo colazione e così mi unii a loro. Dopo la colazione uscirono entrambi e rimasi sola, il cielo si faceva sempre più scuro. Il cigolio di una finestra mi fece sobbalzare, mi girai di scatto, la finestra dietro di me era completamente spalancata, mi avvicinai e piano mi misi ad osservare fuori: la casa abbandonata venne colpita in pieno da un fulmine e per qualche minuto scomparve. Non ci credevo, non c’era più nulla. Presi il giubbotto e mi fiondai giù per le scale. Uscita dal portone un acquazzone mi prese in pieno e misi il cappuccio. La casa davanti a me era quasi un diagramma nascosto fra la nebbia che circondava solo lei, mi avvicinai piano al cancello, nero, basso, con qualche graffito in bianco, allungai la mano per toccarlo ma la scansai subito dopo, sentii una fitta, come una presa potente. Mi allontanai indietreggiando e guardai la casa in ogni minimo dettaglio: una struttura media, materiali ormai rovinati dal tempo, molte finestre, probabilmente molte stanza, il giardino, se così si poteva chiamare, era quasi un giungla, piante ovunque, sia a terra che rampicanti, e poi c’era un piccolo terrazzo quasi distrutto, le mura malandate. Una mano forte mi afferrò al collo e mi spinse verso il cancello che si aprì da solo. Mi catapultai  in un’altra dimensione, poi il cancello si chiuse dietro di me. Il giardino, prima completamente distrutto, era diventato bellissimo, i fiori sbocciati emanavano un profumo paradisiaco, la casa era stupenda, le mura di un arancione intenso, le finestre di legno di ciliegio levigato. Una dolce musica che proveniva dall’interno mi portò ad avvicinarmi alla porta. Subito una piccola vecchina mi aprì esortandomi ad entrare. Mi fece togliere la giacca e mi fece accomodare sul morbido divano dandomi il benvenuto. Mi portò dei pasticcini  e un tè caldo, si sedette davanti a me e iniziò il suo lungo discorso: “Questa casa non esiste cara Marina, tu, sei la prescelta. Non ti devi spaventare, non devi fare nulla, questa è la casa dei sogni, ogni stanza di questa casa è un tuo sogno che puoi vivere. A te la scelta, ogni giorno potrai vivere un tuo sogno, ma non fare il mio sbaglio” mi disse e poi di colpo il suo sguardo si rabbuiò “Io sono entrata qui all’età di vent’anni, ho lasciato la mia famiglia, il mio uomo, ho preferito vivere un sogno… Tu non lo fare, la mancanza di una persona porta incubi e qui si vivono anche quelli. Tu sei giovane, i tuoi sogni puoi viverli col sorriso, ma se arrivi a vivere il terzo incubo dovrai restare qui per sempre: pensaci!”. Chiuse il discorso sorridendomi malinconica. Io finii di bere il tè e mi alzai dal divano, presi la giacca e mi feci accompagnare alla porta. La vecchina mi abbracciò: “A presto piccola prescelta”. Il portone si chiuse alle mie spalle e un vento fortissimo mi portò fuori dal cancello. Tutto era tornato come prima, o forse no. La mattina dopo uscendo di casa presi la mia decisione, la decisione che mi cambiò la vita.

Continua…

Marina Guzzi    

Classe seconda B