martedì 19 aprile 2016

Quando la babysitter è un’assassina


Nella capitale Russa, il 29 Febbraio 2016, una bambina di quattro anni è stata decapitata dalla propria babysitter. La donna, di nome Gyulchekhra Bobokulova, originaria dell’Uzbekistan, risulta mentalmente instabile e viene arrestata riconoscendo il proprio delitto, pentendosene e dicendo che glielo aveva ordinato Allah.  Secondo le testimonianze la colpevole dopo aver mozzato la testa della bimba ha dato fuoco alla casa e si è diretta verso la metropolitana vestita di nero, con la testa mozzata, gridando “Allah è grande” e ripetendo più volte che si sarebbe fatta saltare in aria. I genitori della bambina uccisa sono stati affidati a cure psicologiche perché in stato di shock. La colpevole si prendeva cura della bambina da un anno e, secondo le dichiarazioni dei genitori della vittima, nell’ultimo tempo aveva problemi con il marito e assumeva comportamenti nervosi. I genitori prima di questo fatto la definirono una grande professionista nel suo lavoro, considerandola molto affidabile. Come nella maggior parte dei crimini o degli atti terroristici, tutto può partire da una cosa che inizialmente sembra banale o assurda ma tramite cui si può arrivare ad un fatto tragico.
Gli investigatori hanno dichiarato che la colpevole possa aver avut problemi mentali a causa dei conflitti con il marito, probabilmente sarà semplicemente condannata, finendo così in galera per atti criminali. Intanto i genitori rimpiangono la propria figlia, uccisa ingiustamente e brutalmente. Questo è un fatto che mi ha colpito molto, soprattutto per la crudeltà che questa donna ha dimostrato nei confronti di una piccola creatura. Questo episodio è stato trattato per poche settimane e poi ha perso la sua importanza, diventando uno dei tanti crimini efferati di cui solo l’uomo può essere capace.

Alanei  Cosmin  2 B

domenica 17 aprile 2016

Non si può morire così!


Luca Veriani aveva solo 23 anni quando fu torturato e ucciso da altri due ragazzi romani, Manuel Foffa e Marco Prato. E fu proprio il 6 marzo, poco dopo la mezzanotte, che il padre di Manuel convinse il figlio a confessare tutto quanto alla polizia.
Il colpevole, confessando, disse: “Iniziò tutto una sera quando io e Marco, rimasti in casa, spendemmo circa 1500 euro per comprare alcool e cocaina. Restammo senza mangiare, perché volevamo vedere quanto tempo riuscivamo a resistere.”
Cos’è accaduto?
Marco e Manuel chiamano Luca, convincendolo ad andare a casa di Manuel, dove, in cambio di rapporti omo/eterosessuali (Marco è gay e l’aveva già confessato a Manuel), i due ragazzi gli offrono droghe e 120 euro, Luca non resiste ed accetta. Manuel, che, precedentemente, si era autodefinito un “animale”, ha detto che la morte di Luca non è stata veloce e indolore bensì lenta e dolorosissima, per via di ripetute martellate sul collo e su altre parti del corpo, non escludendo l’uso di un coltello. Secondo il padre di Manuel (dichiaratosi ignaro del fatto che il figlio facesse uso di alcool e droghe) i ragazzi non sono stati mossi da un movente ma solo perché erano sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, in un’intervista Manuel ha detto che l’avevano fatto solo per sapere cosa si provasse ad uccidere una persona, noi, invece, pensiamo che sia stato un atto irresponsabile, fortemente disumano, emblematico di una società in sfacelo come quella attuale.


Tavelli Cesare e Marocco Giulia 2B